Di Claudio Cozza
“Strano, eh? Anche un po’ sconveniente, no? Me che vuole, un uomo è un uomo. Non sempre è padrone di se stesso”(B. Brecht, Un uomo è un uomo, 1926)
Caro lettore,
innanzitutto grazie per le questioni poste nella lettera. Le tue preoccupazioni sono peraltro quelle di molti lavoratori nelle stesse condizioni, ad esempio programmatori informatici che temono che l’intelligenza artificiale (IA) possa coincidere con la “fine della programmazione”. E dunque del loro lavoro.
Ciò si collega, come ben dici nella tua lettera, al grado di ‘pervasività’ di questa IA. È un fenomeno che abbiamo visto anche recentemente, a cavallo tra gli anni 1990 e 2000. Lo sviluppo del cosiddetto ‘web 2.0’ ha fatto velocemente sparire la figura del ‘content manager’ – figura professionale che pareva in rapida ascesa in quanto incaricata di popolare di contenuto i siti internet – proprio grazie alla pervasività dell’azione degli utenti del web che si trasformavano in produttori di contenuti. I social network ne sono la rappresentazione più immediata. Oggi, potremmo diventare ‘tutti programmatori’ in quanto ci interfacciamo con l’IA (pervasiva nella misura in cui è ormai in tutti i nostri dispositivi privati) e la alleniamo, la rendiamo cioè sempre più indipendente da noi; mentre noi ne diventiamo sempre più dipendenti. Tutti programmatori e quindi nessun programmatore, tutti liberi e quindi nessuno più libero…
Quello che tu evidenzi, ossia la paura della perdita di lavoro e anche d’indipendenza, è sempre più frequente nella nostra quotidianità. Meno nelle analisi degli accademici che si preoccupano più di evidenziare i benefici di questa ennesima rivoluzione industriale. Che poi, a che numero siamo arrivati? Alla quarta? Alla quinta? Numerazioni che fanno perlomeno sorridere. Lo sviluppo tecnologico dell’umanità, per quanto abbia accelerato negli ultimi 250 anni, è un continuum: aumento della produttività, o meglio delle ‘forze produttive’, che accompagna l’uomo da quando ha iniziato ad allevare e coltivare, o anche prima da quando ha iniziato a lavorare le selci per farne armi o strumenti di lavoro; o ancora prima, in senso sia logico sia storico, da quando ha cominciato a usare le mani per produrre. Perché “nessuna produzione è possibile senza uno strumento di produzione, non foss’altro questo strumento che la mano” e però anche “nessuna produzione è possibile senza lavoro passato, accumulato” (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, 1857-1858). Ossia capitale.
Quanto la vediamo attuale, questa accumulazione di lavoro passato, in ChatGPT e nelle altre IA! Ci sono voluti mesi per far ‘digerire’ al sistema tutti i miliardi di testi che ha incorporato, in una forma ancora limitata, ma che ben presto verrà potenziata da tutti i nuovi input che noi, in quanto suoi ‘utilizzatori’, le daremo quotidianamente in pasto. E, fra di ‘noi utilizzatori’, ci saranno anche gli ex programmatori che avranno perso il lavoro ma continueranno a lavorare per lei, in quanto utenti; ma anche i programmatori che saranno rimasti a lavorare e che lavoreranno sempre più intensamente, per garantire che continui a ‘infinito’ l’aumento di produttività che oggi – così come in tutto lo sviluppo tecnologico dell’umanità – prosegue imperterrito 1.
Insomma l’IA è strumento, così come la mano dell’uomo primitivo; e però è qualcosa che si contrappone all’uomo, così come le macchine di fine ‘700 che venivano distrutte dai luddisti che vedevano cancellati i loro posti di lavoro. Essa è per l’uomo, in quanto assomma tutta l’intelligenza dell’umanità; ma anche contro l’uomo, in quanto la sviluppa in modalità che l’uomo non conosce. È dell’umanità, in quanto è sempre l’umanità che produce conoscenza; ma è, in questo periodo storico-sociale, anche proprietà privata. Ossia tu o noi o il tuo collega già licenziato o quello che continuerà a lavorare a ritmi più intensi, siamo sempre dei ‘liberi lavoratori’, anche quando chiediamo una semplice, banale risposta a ChatGPT. La nostra, ormai anche quando usiamo le IA fuori dal posto di lavoro, è sempre “capacità lavorativa priva di oggettività, puramente soggettiva, che si contrappone alle condizioni oggettive della produzione come alla sua non proprietà, come a proprietà altrui, a valore per se stante, a capitale” (Marx, ibid.). L’IA, come il tuo Enkidu, è sia amico sia nemesi.
Per ora, quindi, l’IA è capitale, spesso nelle mani di poche grandissime imprese tecnologiche, come dici tu alla fine della lettera. Se è capitale, quindi proprietà privata, la tua domanda “sarebbe pensabile di lavorare un giorno alla settimana a parità di produttività, ma anche di salario?” non può che avere una risposta negativa. Ciò, ovviamente, a patto di considerarci tutti – in quanto lavoratori – dalla stessa parte. Perché il possibile ‘successo’ di pochi che lavoreranno meno a parità di salario, mentre molti altri avranno perso il lavoro, non è altro che una redistribuzione interna alla stessa classe dei lavoratori; che come classe sociale avrà un saldo negativo. Un po’ come il vincitore della lotteria di capodanno che, in fondo, non fa che rastrellare una parte dei denari persi dai suoi simili che hanno comprato i biglietti perdenti.
Ma c’è una domanda, che tu non ci fai: se questa conoscenza, questa IA è privata, cosa ci garantisce che le risposte fornite siano davvero attendibili e non mistificanti? In questa nostra lettera, abbiamo fatto ricorso non solo alla nostra conoscenza ma anche al nostro senso di verità. Potremmo aver sbagliato, aver inserito falsità in buona fede, perché chi a suo tempo ci ha passato conoscenza, potrebbe averlo fatto in maniera volutamente distorta. Chi ci garantisce che ciò non stia avvenendo già ora, nell’alimentare ChatGPT e le altre IA? E soprattutto: cosa succederà quando alle ultime generazioni di studiosi critici si sostituiranno le nuove generazioni che sono soddisfatte nell’avere, sempre e velocemente, una risposta? Qualunque essa sia? Se tutta l’intelligenza umana sarà stata appropriata, dove troveremo gli strumenti per sottoporre a giudizio critico ciò che ci verrà propinato?
Senza spirito critico, ahinoi, una risposta è una risposta. Affiniamo quindi le armi della critica e magari le marmotte, scavando, troveranno anche la vecchia talpa!
NOTA 1: E a quanto appena enunciato si potrebbe aggiungere il tema delle proprietà intellettuale dei testi su cui è stato effettuato il training dell’algoritmo (vedi per esempio) dove, anche volendo stare nella logica della proprietà privata, da più parti è stato sollevato il tema dell’appropriazione di enormi porzioni di produzioni testuali senza attribuire nessun tipo di royalty e neppure attribuendo le fonti.
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